Elusione Fiscale ed Armamenti


Elusione fiscale ed armamenti

Quando si ricomincia a giocare con la corsa agli armamenti, è un brutto segno. Borse d’Italia in picchiata, tagli draconiani a istruzione, sanità, pensioni e stipendi, ma intanto crescono a dismisura e segretamente le spese per l’acquisto di nuovi sistemi di guerra da destinare alle forze armate italiane. Gli ultimi gioielli di morte vengono dagli Stati Uniti d’America: due velivoli senza pilota UAV Predator, nella versione B “MQ-9 Reaper” per il bombardamento teleguidato contro obiettivi terrestri.

Il Dipartimento della difesa USA ha rivelato da un contratto, per un valore di 15 milioni di dollari, che è stato sottoscritto dall’Aeronautica Militare italiana e prevede pure la fornitura di tre radar LYNX Block 30 e un motore di ricambio. L’acquisizione rientra all’interno del cosiddetto Foreign Military Sales (FMS), il programma per la vendita a paesi terzi di sistemi d’arma prodotti negli Stati Uniti con l’interposizione del Pentagono. In sostanza l’Aeronautica non potrà acquistare direttamente gli UAV dall’industria produttrice (la General Atomics Aeronautical Systems di San Diego, California) ma dovrà affidarsi agli intermediari della Defense Security Cooperation Agency.

Subito dopo la consegna, i due velivoli “MQ-9 Reaper” saranno trasferiti al 28° Gruppo Velivoli Teleguidati “Le Streghe” di Amendola (Foggia), l’unico reparto italiano dotato di velivoli senza pilota, il primo in Europa a fornirsi di sistemi UAV. Il gruppo ha già a disposizione sei “Predator” nella versione A “RQ-1B” (per le missioni d’intelligence, sorveglianza, riconoscimento degli obiettivi e per la lotta all’immigrazione “clandestina”) e due nella versione “MQ-9 Reaper”.

Si tratta di strumenti militari sofisticatissimi e particolarmente costosi. Per l’acquisto (nel 2004) dei primi cinque sistemi Predator, l’Italia ha speso 47,8 milioni di dollari; due anni più tardi è arrivato un secondo lotto di due velivoli e relativi mezzi di supporto per 16 milioni di dollari (un UAV era intanto precipitato in fase di addestramento). Dopo aver utilizzato i Predator in missioni di guerra in Iraq ed Afghanistan, l’Aeronautica militare ha chiesto di acquistare pure il modello “Reaper” che può essere armato con missili e bombe a guida laser.

Il 12 febbraio 2008, la Commissione difesa della Camera ha autorizzato la spesa sino a 80 milioni di euro per l’acquisizione di quattro Predator B e relativi sensori, sistemi di controllo a terra e supporti logistici, con termine il 2011. Per ottenere il consenso unanime al nuovo sistema d’attacco, l’allora sottosegretario ulivista Giovanni Lorenzo Forcieri assicurò che i “Reaper” avrebbero avuto il ruolo di meri ricognitori e che non sarebbero stati armati.

“L’opzione di dotare i Predator di armamenti potrà avvenire solo dopo un’eventuale autorizzazione del Parlamento”, spiegò Forcieri. Il contratto con la General Atomics Aeronautical Systems fu sottoscritto nel febbraio 2009 e i velivoli divennero operativi ad Amendola nell’estate 2010. Glissando il dibattito alle Camere, il ministro della Difesa Ignazio La Russa ha autorizzato l’uso dei “Reaper” contro obiettivi in Libia a partire dello scorso 10 agosto, nell’ambito dell’operazione Unified Protector. Stando all’Aeronautica, i velivoli sono stati impegnati “senza armi” in “attività di ricognizione e sorveglianza durate all’incirca 12 ore ciascuna”. È forte il sospetto, tuttavia, che i Predator italiani siano stati impiegati anche in vere e proprie operazioni di strike.

Il nuovo UAV può essere armato con missili “Hellfire”, bombe a guida laser Gbu-12 “Paveway II” e Gbu-38 “Jdam” (Joint direct attack munition) a guida Gps. La postazione standard consiste in una stazione di controllo a terra che, grazie al data-link satellitare, può guidare il velivolo anche oltre la linea dell’orizzonte. Il Predator B può essere trasportato a bordo di un aereo C-130 ed essere reso operativo in meno di dodici ore.

Gli AM-X di Amendola hanno funzioni di routine nell’interdizione e nel supporto aereo alle forze terrestri e navali e partecipano periodicamente a importanti esercitazioni militari in Canada, Stati Uniti, Francia, Germania, Spagna, Egitto ed Israele. L’Italia si è impegnata ad acquisire 131 velivoli per la folle spesa di 16 miliardi di euro. Sempre che i prototipi riescano a superare i test di volo e si risolvano i numerosi problemi tecnici e progettuali di quello che è ormai il programma più controverso e più costoso della storia dell’aviazione militare mondiale.

Posso domandarvi allora chi ha preso questi accordi e quando? Dal momento, che oggi, non ci siano le condizioni necessarie e sufficienti per adempiere a quanto richiesto o sottoscritto, ma dal momento che non sono certo che il Pentagono si curerà della nostra condizione economica al attuale, spero almeno che nel caso vi dovessero essere altre sorpresine di Natale nel paniere, almeno si provveda per tempo, a spostarle più avanti, dilazionare i pagamenti o cancellare le richieste. Lo stato attuale delle cose, non ci consente di fare errori del genere, e sbagli di valutazione come questo meritano una decisa attenzione e risposta. Immagino sia lecito chiedere dunque se con le soluzioni del decreto salva Italia, quelle dei 17 giorni del nuovo governo tecnico, qualche cosina in più non sia sfuggita a costoro.

Desidererei che prima della fine dell’anno, tutti i contratti riguardanti spese superiori al milione di euro, da parte del Governo e dello Stato, vengano pubblicati in Gazzetta, e in rete per il principio di Equità, Giustizia e Trasparenza, e dato che dal popolo si richiede questo, sarà cosa opportuna per il bene generale, controllare non solo ogni movimento superiore ai mille euro, nel cercar pagliuzza, ma anche controllare quali travi sul nostro capo, siano marcite. Si attivino pertanto costoro a scovar pagliuzza come trave per tempo, e a soddisfare la nostra lecita curiosità in merito, che il principio dei piatti si basa su quello della bilancia, e si noti quello che la spinge col dito, preme il pane col pollice o pesa di fretta per far gravar la spinta. La triarchia in questione scelga pure il percorso dal male minore, ma lo faccia, che “Qui nessuno è fesso”, e che, se l’esperienza non mi inganna, parlando in senso lato e generale, e non per accusar coda di paglia, che al ladro è difficile rubare. Ci viene rinfacciata l’evasione fiscale, quando gli Intoccabili praticano l’elusione fiscale. E’ tempo di occuparsi anche di loro. Gli in giudicabili hanno goduto troppo. Si attivi quindi il ministero della Trasparenza, con lo scopo di indagare l’invisibile. Quindi quello dell’Armonia perfetta, con lo scopo di pacificare gli animi e creare ogni bene dapprincipio. E’ imperativo che da questo momento, le spese del Signor Bona ventura, vengano riportate sul taccuino. Ipotesi di spesa, citate per tempo, come pure gli accordi per commesse future, e i contratti, milionari o miliardari che siano; vengano alla luce i nomi di chi vi ha posto firma, e quando l’hanno fatto, e infine quando v’è stato voto favorevole in proposito, e quanti l’hanno dato e come.

Riporto qui di seguito le spese relative all’argomento, che recava la finanziaria del 2008, per meglio definire il problema, dal momento che in realtà poi alcuni dati ci sono, ma altri a sorpresa fanno capolino.

Il Bilancio della Difesa 2008 – Prime previsioni

Secondo la “Nota aggiuntiva allo stato di previsione per la Difesa per l’anno 2008”, lo stanziamento

complessivo per la Difesa nel 2008 sarà di 20,928 miliardi di €: 733,7 milioni in più del bilancio di

previsione approvato dal Parlamento per il 2007 (+ 3,6%).

Questo incremento è così suddiviso:



· Funzione Difesa 15,224 miliardi di € (+775,1 milioni rispetto al 2007; + 5,4%)

· Funzione Sicurezza Pubblica 5,358 miliardi € (+27,5 milioni €; +0,5%)

· Funzioni Esterne 115,4 milioni di € (+4,4 ; + 4,0%)

· Pensioni Provvisorie 230,8 mln € (- 73,3 mln €; - 24,1%)

Più interessante guardare quali siano le destinazioni delle spese belliche, riportare nella seguente tabella (sempre tratta dalla “Nota aggiuntiva…”)

Da questa tabella si ricava un dato importante: la principale voce di aumento delle spese militari è quella relativa al “investimento”, cioè al riarmo delle Forze Armate italiane – in linea con quanto richiedono la Nato e l’Unione europea. Ricordandoci sempre che i finanziamenti aggiuntivi previsti dalla Finanziaria

2008 riguardano essenzialmente lo “sviluppo tecnologico”, cioè ancora una volta nuove e più sofisticate armi.

E in tutto questo ancora manca la previsione di spesa per le missioni militari all’estero: 1 anno di partecipazione alle missioni internazionali costa infatti 1 miliardo di € (esclusi stipendi ai militari e ammortamento attrezzature). Ad esempio la Missione Unifil in Libano costa quotidianamente 2,1 milioni (esclusi stipendi dei militari).


Finanziamenti aggiuntivi Finanziaria 2008:

Eurofighter, Programmi internazionali, navi da guerra Fremm

All’aumento generale del bilancio l’ Art. 37 “Partecipazione a programmi aeronautici ad elevato contenuto tecnologico, interventi nel settore aeronautico e programmi europei navali e terrestri ad alta tecnologia”

prevede ulteriori finanziamenti aggiuntivi.

La quota più elevata dei fondi aggiuntivi è per il programma di costruzione di 620 Eurofighter (con Germania, Gran Bretagna, Spagna), di cui 121 per l’Italia. Il Typhoon-Eurofighter (EFA) è il principale programma di collaborazione nella storia europea nel campo della difesa. Prevede l’utilizzo di missili AIM-9L e AIM-120, oltre al cannone Mauser da 27 mm e alle bombe guidate classe Paveway. Il velivolo da difesa aerea più diffuso al mondo, oltre ad essere una macchina che, per le sue capacità operative, è in

grado di garantire alle forze aeree utilizzatrici la superiorità nei confronti di qualunque minaccia aerea, è già operativo presso la base militare di Gioia del Colle (Ba) dallo scorso ottobre.


Si tratta di stanziamenti per 3,904 miliardi € dal 2008 al 2012 ai quali vanno aggiunti altri 960 milioni per il 2008 e 2009, per un totale di 4,884 miliardi. “Con questi finanziamenti il programma EFA è a posto e sono confermati tutti gli impegni che il Parlamento aveva assunto” dichiara il sottosegretario Forcieri in rappresentanza del governo Prodi; come se la maggioranza di centro sinistra in Parlamento nel 2006 non fosse stata eletta anche e soprattutto grazie al movimento pacifista.


Sono confermati i fondi per l’acquisizione di 14 aerei da guerra M346-12 e di elicotteri EH101 nell’ambito del progetto “Soldato del futuro” – programmi elettronici per equipaggiare le forze terrestri e aeree, per un totale di 1,050 miliardi di € spalmati in 15 anni.

Sono stati sbloccati, inoltre, i fondi per la costruzione delle prime due navi da guerra Fremm, per un ammontare di 1,050 milioni da destinare con il meccanismo dei “contributi quindicennali”, a conferma della politica militare ed interventista a medio e lungo periodo del governo. Si tratta di ulteriori poste di bilancio per investimenti che confermano a pieno le intenzioni del Ministero degli Esteri di ricoprire un ruolo da protagonista nel contesto Nato (relazione Ministro D’Alema del 21 febbraio 2007).

A questi importi sono state aggiunte spese di funzionamento (ristrutturazione arsenali, ect) per il 2008 per un totale di 230 mln più altri 450 mln, sempre secondo il meccanismo dei “contributi quindicennali”.

Oltre alle spese da sostenere per il mantenimento di 1.546 edifici militari, di cui ben 1.168 posseduti dagli Usa. Parte del mantenimento spetta al bilancio italiano pari al 41% (366,54 milioni di €).


La spesa nascosta

Ma non basta.Alcuni enti non propriamente di ispirazione pacifista come la Nato, l’Agenzia di Difesa Europea o il Dipartimento della difesa Usa, ci ricordano che l’Italia, in linea con la media europea, spende per lo strumento militare nel suo complesso mediamente circa il 2% del Pil, che tradotto significa una spesa, media, di circa 25 miliardi di euro all’anno per gli anni Duemila. Questa cifra, che si discosta notevolmente dal bilancio del ministero della Difesa, deriva dal fatto che questi enti, come del resto anche il Sipri, il prestigioso Istituto di ricerche per la pace di Stoccolma, conteggiano tutte le spese dello stato

che servono per l’apparato bellico, quindi anche quelle che non risultano in carico al ministero della Difesa.

Questo con buona pace dei lacrimandi della difesa nostrani che in periodo di finanziaria spuntano su giornali e televisioni nel ruolo di “tecnici & esperti” per raccontare di bilanci da miseria.


Export di armi: il valore delle nuove transazioni autorizzate

La prima relazione sull’export italiano di armi del governo Prodi, più puntuale del passato ma ancora

incompleta, presenta dati dirompenti, in quantità e qualità. Il valore complessivo delle autorizzazioni

all’esportazione rilasciate nel 2006 sale infatti a ben 2,19 miliardi di €, contro gli 1,36 miliardi del

2005. Si tratta dei volumi più alti degli ultimi 10 anni, che superano di poco il picco del 1999.



Le aziende: chi sono i campioni dell’export

I principali campioni dell’export bellico italiano sono sempre gli stessi: Agusta (gruppo Finmeccanica, fra i maggiori sponsor della Comunità di Sant’Egidio e di San Patrignano, presieduta dall’ammiraglio Marcello di Donno, capo di stato maggiore della marina dal 2001 al 2004), Alenia, Oto Melara (anch’essa presieduta da un ex capo di stato maggiore dell’esercito, il generale Giulio Fraticelli), Avio, Selex… anche loro tutte in qualche modo gravitanti nella galassia Finmeccanica.

La Finmeccanica, azienda leader nel settore, ha aumentato il suo valore azionario nell’ultimo anno e mezzo passando da i 4, 5 € al tetto massimo del 2007 di 24 € circa, rispetto a un andamento altalenante negli anni in cui la difesa era presieduta dal Ministro Martino.



L’azionista principale di Finmeccanica è il Ministero dell’Economia e delle Finanze con una partecipazione

superiore al 30% del capitale sociale, così come stabilito dal D.P.C.M. del 28 settembre 1999. Anche per il 2006

confermano Finmeccanica tra i principali investitori mondiali nell’alta tecnologia nei settori di Aerospazio, Difesa e

Sicurezza con un significativo aumento degli investimenti, compresi quelli per la ricerca e sviluppo (1.783 milioni

di euro, pari al 14% dei ricavi). Per il Gruppo Finmeccanica il 2006 si chiude con un utile netto consolidato di 1.020

milioni di euro, con un aumento di 624 milioni (+158%) rispetto ai 396 milioni del 2005. I ricavi sono pari a 12.472

milioni di euro, in crescita di 1.520 milioni, pari al 14%, rispetto ai 10.952 milioni del 2005. Gli ordini acquisiti nel

2006 ammontano a 15.725 milioni di euro con un aumento di 342 milioni, pari al 2%, rispetto ai 15.383 milioni del

2005. Del totale ordini oltre il 56% è relativo al mercato militare con una tendenza alla crescita rispetto alla

percentuale del 2005. Il portafoglio ordini a fine 2006 si attesta a 35.810 milioni di euro con un incremento di

3.696 milioni (+12%) rispetto ai 32.114 milioni del 31 dicembre 2005 e assicura al Gruppo una copertura

equivalente a circa tre anni di produzione. L’indebitamento finanziario netto, al 31 dicembre 2006, è di 858 milionidi euro con un decremento netto di 242 milioni (-22%) rispetto ai 1.100 milioni del 2005. Inoltre, l’Assemblea degli

Azionisti ha approvato la conferma nella carica di amministratore di Filippo Andreatta, già nominato per

cooptazione dal Consiglio di Amministrazione del 27 marzo 2007. Da Dedalo News.it.



L’onore per il migliore esportatore va ad Agusta che, forte anche del contratto per gli elicotteri militari

Usa, vola fino ad 810 milioni di € di vendite (il 38% circa del totale italiano). Si conferma come lo scorso

anno in testa alla classifica, ma aumenta di ben 4 volte e mezzo il valore complessivo dei propri affari con

l’estero. Le altre aziende, però, non possono certo lamentarsi: Alenia Aeronautica triplica il proprio export,

mentre Oto Melara e Avio lo raddoppiano quasi.

Le prime dieci aziende

• AGUSTA con il 37,97%, pari a circa 810,6 mln. di €;

• ALENIA Aeronautica con il 14,2%, pari a circa 311,25 mln. di €;

• OTO MELARA con il 12,92%, pari a circa 283,3 mln. di €;

• AVIO con il 5,81%, pari a circa 127,35 mln. di €;

• LITAL con il 5,65%, pari a circa 123,85 mln. di €

• SELEX Sistemi Integrati con il 3,72%, par a circa 81,5 mln. di €;

• ALENIA AERMACCHI con il 3,35%, pari a circa 73,4 mln. di €;

• ALCATEL ALENIA Space Italia con il 3,26%, pari a circa 71,5 mln. di €;

• IVECO con il 2,26%, pari a circa 49,6 mln. di €;

• GALILEO AVIONICA con il 1,46%, pari a circa 32,1 mln. di €


Dove finiscono le armi made in Italy. Per quanto riguarda i Paesi destinatari dei nostri prodotti bellici e

militari, si confermano sostanzialmente le fette di mercato degli ultimi anni: il 63% verso i Paesi della

Nato o dell’Ue, e il restante per i Paesi fuori Unione o fuori Alleanza. Tra i primi, ai vertici della

classifica troviamo gli Stati Uniti d’America, che oltre alla flotta di elicotteri presidenziali dell’Agusta

acquistano dall’Italia “bombe, siluri, razzi, missili, navi da guerra, esplosivi militari e armi automatiche” di

tutti i calabri per un totale di 349,6 mln di € (fonte relazione Presidenza del Consiglio). Gli Usa sono

seguiti da Polonia (227 milioni), Regno Unito (160 milioni) e Austria (152 milioni). Da soli i Paesi

appartenenti alla Unione europea e alla Nato hanno messo insieme consegne di armi italiane superiori al

totale complessivo esportato nel 2005 (1396 milioni contro 1360 milioni).



Dati interessanti derivano invece dall’analisi delle esportazioni avvenute verso nazioni non Ue e non Nato. Al vertice troviamo gli Emirati Arabi Uniti – Stato che nei rapporti di Human Right Watch e Amnesty International si distingue

per “vessazioni nei confronti delle organizzazioni per la tutela dei diritti umani - che riceveranno ben 338

milioni di euro di armamenti made in Italy, consistenti in “bombe, siluri, razzi, missili, navi da guerra,

aeromobili”.

I ricchi petrolieri del deserto hanno ordinato in Italia armi o sistemi d’arma di calibro superiore ai 12,7

millimetri, bombe, siluri, razzi, missili (con relativi accessori), navi da guerra e aeromobili. Senza

dimenticare apparecchiature elettroniche e di collaudo e munizioni varie. Molto più distanti, tutti al di

sotto degli 80 milioni di euro, gli altri Paesi di questo gruppo, per i quali le nostre aziende hanno ricevuto

le prescritte autorizzazioni.

Nella lista ci sono nomi poco rassicuranti: l’Oman (78 milioni per una nazione così piccola?), la Nigeria

(teatro recentemente di sequestri ai danni di tecnici italiani dell’Eni), la Corea del Sud incuneata in una

delle aree più delicate del pianeta. In attesa di capire, con la pubblicazione delle tabelle integrali, quali tipi

di arma siano finiti nelle varie destinazioni, è utile citare altri Paesi rilevanti per l’export in area non-

Ue/non-Nato: India e Pakistan, con la solita suddivisione quasi ecumenica (27 milioni a 22), il Venezuela

e poi Libia e Singapore.



Scorporando i dati in fasce di importo si conferma la tendenza ad avere molti contratti di piccole

dimensioni (ben il 96% è relativo a materiali di valori inferiori ai 10 milioni), mentre il peso maggiore in

termini finanziari lo si ha con pochi contratti “formato maxi” (sono 12, il doppio dello scorso anno,

corrispondenti all’1,4%). Queste autorizzazioni sforano il muro del miliardo e cento milioni di euro e

superano il 50% del totale (contro il 27% dello scorso anno). Anche per quanto riguarda le esportazioni

definitive, conseguenti alle autorizzazioni degli scorsi anni, si è avuta una crescita del 12% con un importo

complessivo di 937 milioni di euro.

Le prime dieci destinazioni

STATI UNITI D’AMERICA con il 15,95%, pari a circa 349,6 mln. di € con 102 autorizzazioni,

• EMIRATI ARABI UNITI con il 15,42%, pari a 338,2 mln. di € con 29 autorizzazioni;

• POLONIA con il 10,38%, pari 227,6 mln. di € con 9 autorizzazioni;

• Regno Unito con il 7,26%, pari a circa 159,25 mln. di € con 49 autorizzazioni;

• AUSTRIA con il 6,97%, pari a circa 152,8 mln. di € con 27 autorizzazioni;

• GERMANIA con il 5,20%, pari a circa 113,98 mln. di € con 48 autorizzazioni;

• BULGARIA con il 4,19%, pari a circa 91,8 mln. di € con 1 autorizzazione;

• OdMAN con il 3,59%, pari a 78,67 mln. di € con 7 autorizzazioni;

• LITUANIA con il 3,45%, pari a 75,7 mln. di € con 6 autorizzazioni;

• NIGERIA con il 3,39%, pari a 74,4 mln. di € con 2 autorizzazioni.

I profitti delle “banche armate”…sponsor ufficiale di Prodi durante la campagna elettore del 2006



Uno degli aspetti da sempre più osservati e sensibili in tema di armamenti è la lista delle cosiddette

“banche armate”. Va ricordato che i dati relativi agli istituti di credito riguardano gli importi degli incassi

autorizzati sui conti delle ditte armiere che vengono pagate per le commesse degli anni precedenti

effettivamente esportate. Non si tratta, perciò, degli effettivi interessi o investimenti che le banche

incanalano nel business militare ma della loro tendenza a mettersi a servizio, come operatori tecnici

finanziari, delle transazioni di compravendita di armi. La percentuale varia tra il 3 e il 10 per cento della

commessa.



E’ ancora San Paolo-Imi la regina delle “banche armate”. Nel 2006 sui conti dell’istituto torinese sono

transitati ben 446 milioni di euro frutto di transazioni internazionali per la compravendita di armi. L’anno

precedente erano 164 milioni. San Paolo ha canalizzato circa un terzo dei flussi di cassa del settore, che

nell’ultimo anno sono cresciuti del 32% circa, passando da 1,125 a 1,492 miliardi di euro. A seguire le

altre tra cui il gruppo BNP-Paribas, Unicredit, Banca nazionale del lavoro (Bnl), Banca Intesa, Banco di

Brescia ed anche Banca popolare di Milano. Ricompare Banca Intesa del cattolico Batoli che in passato

aveva annunciato di voler uscire dal sostegno al commercio delle armi, ma che ha realizzato incassi per 46

miln di euro, in aumento dopo la fusione con San Paolo Imi.

Da segnalare, come già annunciato da Adista (v. Adista n. 3/07), la presenza di Banca popolare di Milano (17 milioni di euro), tra i soci di Banca Etica.

Questa impennata dell’export, affiancata alla manifestata volontà del governo di non tenere in

considerazione l’ipotesi di riconversione dell’industria bellica, prevista dalla legge, perché non

conveniente economicamente, delineano una linea dell’esecutivo preoccupante, in palese contrasto con il

programma dell’Unione presentato agli elettori.



Con l’aumento delle spese militari e l’adesione dell’Italia ai progetti americani del nuovo caccia Jsf e dello scudo stellare continua, si rafforza e si consolida per l’Italia una preoccupante e pericolosa corsa al riarmo a spese anche e soprattutto dei lavoratori e delle lavoratrici italiane, i primi contribuenti in Italia per % di entrata.



E infatti ce ne siamo accorti!!!



Un commercio due volte illecito. Il governo, alla scadenza del 31 marzo, ha reso pubblico solo un

“Rapporto” e non l’intera “Relazione sull’esportazione di armi” – come prevede espressamente la legge

185/90 – dove sono contenuti tutti i dati nel dettaglio. Il Rapporto facilita la lettura dei dati dell’Istituto

Affari Internazionali, ma ne omette tanti altri penalizzando così la trasparenza. Così come, in deroga alla stessa legge del ’90, che limita l’esportazione di armamenti verso paesi in guerra e conflitti armati e paesi che violano i diritti umani, i valori e le leggi del profitto e del mercato non possono rispondere a leggi democratiche, che cercano di limitare il traffico legale di armi.



Da un articolo di CI

La recente dichiarazione dell’ex segretario alla difesa americana Bob Gates - con la quale si invitavano i partners alleati europei ad impegnarsi di più in termini di investimenti militari per dare un valido contributo agli Usa nella gestione delle crisi internazionali e non basarsi interamente sull’apparato militare americano - ha riaperto un’annosa questione e vecchie ferite nel rapporto transatlantico. Il tema si è già riproposto periodicamente nei decenni passati, quando in epoca di guerra fredda, dinanzi alla minaccia sovietica, le capacità difensive europee si basavano quasi esclusivamente sull’apparato di difesa americano se si esclude la force de frappe francese e l’arsenale nucleare britannico. Le cause della tale situazione sono da ricercare in parte nella scarsa sensibilità di alcuni paesi tra i quali l’Italia per i temi della difesa e degli investimenti militari; ma a livello generale europeo si può ben dire che nell’ambito delle politiche governative i temi della difesa e degli investimenti militari sono stati relegati in secondo piano a favore delle politiche sociali del welfare state. Cosi nella gestione delle crisi internazionali e delle minacce terroristiche, malgrado un’enfatica politica estera europea di sicurezza e difesa, si aspetta sempre che gli Usa si muovano con il loro apparato militare per poi accodarsi in ordine sparso con vari distinguo, e livelli di partecipazione diversi a seconda dei mutevoli contesti politici interni nazionali.



Finita la guerra fredda nel Ventunesimo secolo tale situazione non è più sostenibile e, così come evidenziato dalla dichiarazione di Gates, occorre un ripensamento delle politiche militari dei vari stati europei, una ricalibratura degli investimenti militari per far sì che il rapporto transatlantico in termini di efficienza e capacità d’intervento non sia squilibrato a favore degli Usa come appare ora. Con ciò non si vuole sostituire al sistema di welfare state uno di warfare state, ma si vuole porre gli stati europei dinanzi alle proprie responsabilità, consci una volta per tutte che la sicurezza non è un prodotto a costo zero e che non si può essere usufruitori di sicurezza senza esserne anche produttori.



Per Inciso: Mi pare che il problema della fruizione, non si pone dal momento che gli stiamo comprando 16 miliardi di dollari di bombardieri, e che in termini di produzione, sono stato esaustivo nella prima parte dell’articolo, dandovi i numeri di milioni di dollari di commesse vendute e soldi guadagnati da società Italiane, nonché i nomi delle Banche e dei produttori stessi di armi.



CONTINUA: La dichiarazione di Gates va valutata ed esaminata nella sua duplice valenza americana ed europea: all’interno dell’amministrazione americana c’è malcontento per il contributo europeo in termini di difesa e lo scoppio della crisi libica ha acuito questo malumore soprattutto quando ci si confronta con i costi che gli Usa stanno sostenendo nel nord Africa (1 miliardo dollari) 1/10 del bilancio annuale militare italiano.



Ma se abbiamo da pagare una commessa di 16 miliardi di dollari al Pentagono, l’articolo di Iannone afferma che un decimo di un miliardo di dollari, e cioè 100 milioni di dollari, sono il nostro bilancio militare annuale!!! Se qualcuno ha forse l’idea di farci passare per risparmiatori in senso di spese militari, lo dica pure, e se altri vorrebbero convincere i lettori che è giusto spendere soldi per una corsa al riarmo perche gli Stati Uniti non possono sobbarcarsi tutto il lavoro, allora siamo convinti. Giusto. Peccato che le cifre siano completamente sballate, e pare di capire che soffino in una direzione precisa.


A livello europeo la chiamata a maggiore investimento per la difesa avviene in uno dei peggiori periodi di crisi economica, e così il dilemma storico “burro o cannoni” sembra avere agli occhi europei una soluzione scontata nel preservare sistemi sociali impostati sul welfare che assorbono risorse in maniera abnorme con una ridistribuzione clientelare ed assistenziale tra cittadini ormai demotivati ed impigriti da un tale assistenzialismo.



L’ultima critica, che riporto qui, serve solo a farvi capire come si opera nel campo del lavaggio del cervello, e come, dopo aver instillato una memoria, nella mente di qualcuno, si passi ad altro contenuto rapidamente, capace di memorizzare il precedente, che non verrà cancellato, o riconsiderato dalla fase critica della mente, ma passerà per buono. I motivi di cui sopra, sono puramente economici, perché in campo finanziario, affare più grande è la morte stessa. Più un’arma è d’offesa, maggiore ne è il costo. Chiamare in causa la democrazia quindi, o altri valori, è quindi pura ipocrisia. Etica, morale e fede, sono parole estremamente distanti dal vocabolario dei finanzieri, che parlano un puro “Numerale”, la più primitiva forma di linguaggio binario, madre di tutti i conflitti e figlia dell’Egoismo assoluto.



Costoro contravvengono alla prima legge di vita nella quale si dice: Nessuno ha il diritto di produrre strumenti di morte e di sterminio per il presente come per il futuro. Chi ne costruisca o ne utilizzi, arricchendosi, comprando o vendendo tali marchingegni, contravvenendo alla prima legge di vita e avendo sottoscritto patti, contratti e commesse con i dannati che non sanno apprezzare il mondo, ( chiarito che non esiste una volta per tutte causa legittima di un tale modo di operare ), verrà condannato all’erranza perpetua, e al senza numero né nome, per vagare sino a quando il suo cuore non avrà trovato pace.



Continua l’articolo:

La crisi economica non aiuta l’allocazione di risorse per investimenti militari ma, proprio dagli States, uno studio di Martin Feldstein ripropone un vecchio cliché in voga in era Reaganiana quando il riarmo anti Urss venne sfruttato come traino di crescita per la depressa economia americana. Infatti secondo l’economista le spese militari possono essere fattore di crescita per l’intero settore economico, ma occorre tenere nella giusta considerazione che il mercato militare si presenta con le caratteristiche oligopolistiche per eccellenza, e che nel valutare le economie di scala che si possono determinare occorre esaminare anche il livello tecnologico del Paese. Così una nazione poco sviluppata può godere solo in parte dell’effetto moltiplicatore determinato dagli investimenti militari mentre una molto sviluppata può goderne in pieno, a condizione però di non ridurre gli investimenti privati e gli incentivi di stato.



- La parabola del riarmo e dei privati che non vogliono rinunciare agli incentivi di stato. -



Nel caso americano se Obama decidesse di adottare una politica reaganiana - considerando che gli Usa spendono per la difesa circa 700 mld dollari l’anno, somma pari a quella del resto del mondo e soprattutto pari a quella che lo stesso Obama pensa di investire come stimulus package per l’economia americana - nel breve periodo sarebbe necessario aumentare la spesa militare per favorire la crescita. Invece a lungo termine, per avere effetti duraturi in termini di crescita economica, occorrerebbe eliminare le inefficienze che pure ci sono in ambito di burocrazie militari. In termini economici il dilemma è quello cui abbiamo già accennato: se gli Usa siano in grado di seguire sul piano degli investimenti militari una politica reaganiana o di continuare a sovvenzionare i costi della difesa europea.



La questione appare agli occhi dell’economista William Niskanen senza logica, dal momento che il bene pubblico “difesa” deve essere esattamente inserito come altri beni pubblici nei bilanci dei singoli stati sovrani. Per quanto riguarda il bilancio americano le stime per il 2011 evidenziano una spesa pari a 550 miliardi di dollari più di quanto Reagan spese al culmine delle spese di riarmo anti Urss negli anni Ottanta. La riflessione che all’interno dell’amministrazione americanai vari esperti fanno sui compiti della potenza globale fa sì che qualsiasi stanziamento di bilancio venga ingoiato dal rendiconto della difesa e risulti insufficiente, se non si arriva ad una razionalizzazione delle priorità in termini di sicurezza nazionale ed a un maggior coinvolgimento degli alleati europei.



Senza dubbio la crisi mondiale ha generato un dibattito costruttivo sui modi di rendere meno oneroso per la collettività americana il suo bilancio militare; c’è la realistica consapevolezza che con una politica estera meno dispendiosa ed interventista gli Stati Uniti possano mantenere un vantaggio considerevole su qualsiasi ipotesi di coalizione nemica, pur risparmiando 1,2 milioni di miliardi di dollari per i prossimi 10 anni. Ciò è possibile se si riordina l’agenda degli impegni internazionali ed il relativo impiego dello strumento militare, perché non è possibile mantenere allo stesso tempo una politica estera di high profile e fare economie a livello di investimenti militari.

( ma farsi pagare le commesse più care, passando prima per il Pentagono, questo si )



Dopo quest’ampia parentesi sui problemi della difesa Usa e relativi bilanci-investimenti, affrontiamo ora il tema base della nostra ricerca: le spese militari europee. È stato asserito all’inizio del saggio di come, a livello europeo, i temi della difesa e dell’importanza degli investimenti militari, soprattutto nello strategico settore della ricerca e sviluppo, siano considerati in maniera diseguale dai singoli stati. Non vi è dubbio che l’eredità storica, il passato imperiale, un contesto politico interno omogeneo - soprattutto in tema del valore di riferimento sicurezza e difesa della patria - abbiano una certa rilevanza quando cerchiamo di spiegarci perché taluni paesi compresa l’Italia spendono e stanziano cifre modeste per il loro apparato militare.



In sede europea si è cercato di dare soluzione a tale problematica cercando di centralizzare l’azione di politica estera e di difesa con la “Sezione europea azione esterna” (SEAE). Questo per evitare gli inconvenienti delle diverse politiche estere nazionali e i relativi retaggi storici, ma ci si è dovuti comunque confrontare con le diverse concezioni nazionali in termini di sicurezza e difesa. Ad esempio la Francia, da sempre attenta e sensibile ai temi della grandeur e della sovranità nazionale, ha teorizzato il concetto di “Europa potenza” contro la logica bipolare in epoca di guerra fredda e contro l’unipolarismo dopo la fine della stessa per far risplendere a livello internazionale il suo prestigio determinato anche dall’atout nucleare della force de frappe. Quindi da parte francese ci si è serviti dell’Europa come moltiplicatore della propria potenza nazionale. Diversamente dalla Francia, la Gran Bretagna - dall’alto della sua “special relantionship” con gli Usa - ha adottato per i temi della sicurezza e difesa nazionale un approccio intergovernativo più che sovranazionale. Così mentre da parte francese si è cercato di dare vita ad un’efficace politica di difesa europea, da parte britannica si è rimasti vincolati ad un approccio intergovernativ - informale che si doveva concretizzare in atteggiamenti pragmatici ed intergovernativi per le questioni della difesa e della sicurezza nazionali che non dovevano intaccare la sacralità della sovranità nazionale.



Ora numeri numeri numeri

Insieme a queste logiche governative che ci aiutano anche a comprendere in termini numerici le diverse percezioni nazionali del tema della sicurezza in Europa, va valutata anche la scelta di fare di questo continente una “potenza civile” e non militare servendosi di un elevato soft power che lo possa riportare al centro della vita internazionale. Senza dubbio la visione europea può risultare affascinante soprattutto per quei settori dell’opinione pubblica e della politica da sempre estranei e volontariamente sordi alle problematiche della difesa e della sicurezza nazionale; ma la realtà si impone in tutta la sua complessità. Così un recente report del Center for strategic and international studies ha evidenziato come a grandi linee i paesi europei abbiano mantenuto nel corso degli ultimi anni bassi livelli di preparazione e di capacità di “combat ready” per gli eserciti nazionali dei paesi aderenti alla NATO.



In particolare si è notato come nell’arco di tempo 2001-2009 il numero del personale militare dei paesi NATO si è ridotto dai 3,5 milioni d’unità del 2001 a 2,3 milioni d’unità del 2009. Ora alla luce di ulteriori tagli dei bilanci militari pari al 6% per l’anno 2011 si prevede una diminuita capacità dei paesi NATO di partecipare in modo fattivo alle missioni militari nelle aree di crisi ed in particolare si scorge un potenziale vulnus nella credibilità militare della stessa Alleanza, anche in virtù di ciò che è stato deliberato nello “strategic concept” del 2010 in occasione del summit di Lisbona, nel quale si è decisa l’adozione di un pacchetto di misure e di dotazione d’armamenti che permettono alla NATO di fronteggiare qualsiasi tipo di minaccia: dalla cyber war alla difesa missilistica da possibili attacchi di “rogues states”. Inoltre per migliorare l’efficienza dello strumento militare si è deciso di favorire tra i paesi dell’Alleanza una nuova collaborazione sulla base dell’interoperabilità e della specializzazione per evitare sprechi di risorse ed una migliore allocazione delle risorse non più sulla base delle logiche nazionali bensì nel contesto più generale dell’alleanza.



La spesa militare europea va valutata non solo secondo un’ottica nazionale ma anche secondo i parametri e le indicazioni che provengono dall’appartenenza dei suddetti paesi alla NATO. Abbiamo già accennato come nel summit di Lisbona del 2010 è stato approvato il piano strategico per gli anni seguenti soprattutto in riferimento alla gestione delle crisi internazionali e così, per garantire una maggiore sicurezza dei membri dell’alleanza oltre che una maggiore celerità nell’approccio e nella gestione delle crisi internazionali, si sono delineate e specificate le varie fasi che vanno dalla prevenzione della crisi alla gestione della crisi stessa, dalla stabilizzazione dopo intervento militare alla ricostruzione. Per garantire una tale gestione della crisi in ambito NATO si è pensato anche di affiancarle lo strumento economico rappresentato dal “Programma sicurezza ed investimenti” (NSIP) per l’anno 2011, nel quale si evidenziano alcuni punti focali come gli investimenti militari, la razionalizzazione delle forze armate per ricercare il massimo vantaggio operativo, la necessità da parte europea di colmare il divario militare nei confronti degli USA e di adeguarsi alla Rivoluzione degli Affari Militari (RMA) avvenuta dopo la fina della guerra fredda.



Anche riguardo quest’ultimo aspetto è stato evidenziato, da parte di alcuni paesi, come Gran Bretagna e Francia cerchino di adeguarsi alla RMA, soprattutto per quanto concerne il campo delle tecnologie informatiche applicate alla difesa, mentre altri paesi adottano politiche che allargano ancor di più il divario militare con gli altri paesi. In termini grezzi di aride cifre numeriche, che poi sono quelle che racchiudono ed spiegano meglio il nocciolo della questione, possiamo dire che secondo gli ultimi dati disponibili forniti dal SIPRI di Stoccolma malgrado la crisi economica mondiale, che ha determinato decurtazioni nei bilanci militari, la Gran Bretagna e la Francia siano di gran lunga i paesi che investono di più in termini di ricerca militare. Infatti dinanzi ad una riduzione del 10% per l’anno 2010 la Gran Bretagna spende per investimenti militari la cifra di 38,4 miliardi di euro, la Francia è invece stabile con un 0,3% e spende 32 miliardi di euro, la Spagna con una riduzione degli stanziamenti per il 2010 del 4% spende 7,7 miliardi di euro mentre l’Italia, a fronte di una decurtazione di stanziamenti per il 2010 del 2%, spende 14,3 miliardi di euro.



In rapporto al PIL la Gran Bretagna si posiziona al 2,3%, la Francia al 1,7%, la Germania al 1,8%, l’Italia al 0,9%, la Spagna al 0,7%. In termini di spesa per la ricerca dai dati si evince come la Gran Bretagna e la Francia spendano di più con rispettivamente 15,6 e 10,5 miliardi di euro, mentre altri paesi come la Germania, l’Italia e la Spagna si assestano rispettivamente sul 7,6%, 3,2% e 1,1% del proprio bilancio militare per le spese di ricerca e sviluppo. Per rendere ancor di più l’idea della pochezza numerica di tali stanziamenti possiamo dire che, considerato l’aggregato popolazione europea e il Pil prodotto e paragonato agli USA, l’Europa spende per investimenti militari 1/4 di quanto spendono gli Stati Uniti mentre la percentuale delle spese per ricerca e sviluppo assomma ad 1/6 della spesa americana.



Un altro parametro utile per farci comprendere la dimensione della spesa militare europea è dato dal raffronto delle spese per il singolo soldato tra i vari paesi europei. Così per l’Italia abbiamo una spesa di 82.000 euro annui rispetto ai 194.000 della Gran Bretagna, 136.000 della Francia, 124.000 della Germania. Sulla base di questi dati ed appoggiandoci sempre sui dati SIPRI del 2011 possiamo dire che, dinanzi ad una spesa mondiale di 1630 miliardi di dollari (in termini reali +1,3% rispetto al 2009 e +50% rispetto al 2001 che costituisce il 2,6% del PIL mondiale pari ad una spesa pro capite per abitante di 236 dollari), l’apporto degli Usa risulta determinante se si considera che il resto del mondo, esclusi gli Stati Uniti, contribuisca solo per lo 0,1%. Ed ancora in un arco di tempo più ampio 2001-2010 possiamo vedere come le spese militari USA sono cresciute del 81% a fronte di una crescita del 32% del resto del mondo e del 2,8% dell’Europa[19]. A fronte di una crescita delle spese americane per il 2010 di solo 2,8% rispetto ad una media del 7,4% negli ultimi 10 anni possiamo quantificare la suddetta spesa nella cifra di 689 miliardi di dollari nella quale sono compresi gli oneri per la difesa, l’intelligence, gli interventi all’estero, gli approvvigionamenti, la ricerca e lo sviluppo.



Se diamo uno sguardo ai dati di spesa che trapelano per l’anno 2011 possiamo ben dire che la forbice tra spesa militare americana ed europea non può che allargarsi: in sede NATO sono previsti tagli pari a 300 milioni di euro, il -18,2% rispetto 2010 dai fondi d’esercizio che includono spese per carburanti, ricambi, addestramento del personale. In termini di investimenti per il 2011 si è previsto un bilancio di 3.454,700 milioni di euro con un +266 milioni euro rispetto al 2010 in cui sono compresi anche i progetti NATO Eurofighter, F.35 Joint strike fighter oltre che all’acquisto degli elicotteri NH 90 Tornado e sommergibili U122. Il bilancio difesa dei paesi NATO per il 2011 è pari a 20.556.900.000 milioni di euro, il 2,2% del PIL; ora al netto dei fondi destinati alla difesa scendiamo a 14.787.000.000 milioni di euro, lo 0,92% PIL ed al netto delle funzioni esterne ed ausiliarie si ha il reale bilancio della difesa paesi NATO: 14.360.000.000 milioni di euro, lo 0,89% del PIL.



Analizzando i dati dei paesi NATO e soffermandoci sulla funzione difesa dei bilanci militari europei possiamo dire che la Gran Bretagna stanzia per la funzione difesa 38.348 milioni euro (pari al 2,32 Pil per una spesa pro capite di 617 euro), la Francia 32.150 milioni euro (pari al 1,61% PIL per una spesa pro capite di 496 euro), la Germania 31.367 milioni euro (pari al 1,28 PIL per una spesa pro capite 384 euro). Se allarghiamo lo sguardo ai paesi dell’Europa orientale, quasi tutti entrati nell’Alleanza atlantica, possiamo notare come il trend emerso per i paesi NATO dell’Europa occidentale sulla decurtazione e riduzione dei fondi disponibili per gli investimenti militari, si presenta ancora più accentuato. I dati infatti testimoniano un -28% per la Bulgaria, -26% per la Lituania, -25% per la Georgia, -10% per Albania, Grecia e Slovacchia. Se poi vogliamo valutare l’andamento degli investimenti militari in Europa orientale per il periodo 2001-2011 possiamo dire che la crisi economica ha fatto lievitare gli investimenti militari solo del 4,1%.



Dopo aver passato in rassegna i bilanci militari dei paesi europei chiudiamo la ricerca esaminando la spesa militare italiana e le politiche di difesa e sicurezza nazionale adottate dal nostro governo. Prima di entrare nell’arido contesto dei numeri e delle cifre di spesa è opportuno fare alcune digressioni sulla politica di difesa adottata dal nostro paese negli ultimi 50 anni. In tale arco temporale ci si è basati sulla collaborazione transatlantica e sul processo d’integrazione europeo, uniche possibilità di restare aggrappati ai vertici della politica di sicurezza e difesa mondiali evitando in tal modo velleitarismi e fughe in avanti che non potevamo permetterci. A lungo andare l’ancoraggio europeo ed atlantico non ha evitato il deterioramento della funzionalità operativa delle forze armate italiane anche in virtù di stanziamenti insufficienti per garantire alti standard di “combat ready”e qualità degli armamenti.



Se poi a ciò aggiungiamo un certo squilibrio tra le voci di spesa del bilancio militare italiano ne viene fuori un quadro a dir poco desolante: l’equilibrio ottimale, che prevede un 50% per le spese di stipendi-retribuzioni ed un altro 50% per la modernizzazione dei mezzi militari ed l’addestramento delle truppe, risulta squilibrato a favore della voce stipendi per il 60% del bilancio, risultando comunque una percentuale esigua, circa il 26,5%, per la modernizzazione dei mezzi militari, e il 12,5% circa per l’addestramento delle truppe. Le cause di un tale squilibrio sono da ricercare nel fatto che le forze armate sono state intese soprattutto nei decenni scorsi come una valvola di sfogo, un ammortizzatore sociale necessario a dare lavoro a tanti giovani laddove l’offerta di lavoro era scarsa se non inesistente; tutto ciò a discapito dell’efficienza e della qualità dello strumento militare.



Senza dubbio nel nuovo panorama della politica mondiale e dei focolai di crisi internazionali si richiede ai paesi che vogliono avere una statura internazionale un valido strumento militare con capacità di intervento rapido nelle aree di crisi. Perciò anche in Italia sulla spinta dell’abbandono della leva di massa a favore del professionismo ci si interroga sugli stanziamenti militari e sul miglior uso possibile dei pochi fondi disponibili. Mancando risorse aggiuntive per i noti motivi della crisi mondiale, l’unico modo per trovare fondi disponibili per gli investimenti si rivela la razionalizzazione del bilancio attuale, eliminando in tal modo gli sprechi e gli squilibri di spesa a cui abbiamo fatto cenno. Così appare necessaria una riduzione della quota del bilancio per gli stipendi, da portare sotto il 50%, ed un aumento delle cifre per la modernizzazione dei mezzi e l’addestramento delle truppe da portare intorno al 25%.



Addentrandoci ancor di più nella giungla delle cifre possiamo dire che per il 2011 il bilancio di previsione per gli affari militari si attesta sulla cifra di 20,4 miliardi di euro con un +6,6% rispetto al 2010. Occorre anche considerare che sotto la voce “Funzione Difesa” e quindi nel relativo bilancio sono comprese anche altre voci come la funzione sicurezza del territorio (Carabinieri) e la funzione esterna. La questione non è irrilevante dal momento che se sottraiamo dal bilancio del 2011 le due voci sovra citate vediamo come lo stanziamento per la funzione difesa si riduce a 14,3 miliardi euro segnando un +0,2% rispetto al 2010. Andando ancora più a scavare all’interno delle voci della funzione difesa[31] possiamo vedere come le spese per il personale si assestano sulla cifra di 9,4 miliardi euro (+0,9 rispetto 2010), quelle per l’addestramento segnano un -18% rispetto al 2010 (pari a fondi inferiori di 320 milioni euro rispetto al 2010) mentre quelle per gli investimenti si fermano a 3,4 miliardi euro. Se noi volessimo rappresentare su un diagramma a torta l’andamento del bilancio funzione difesa italiano per l’anno 2011 vedremmo come le tre voci “personale”, “addestramento” ed “investimenti” invece di avere un equilibrio ottimale del 40% per il personale e del 30% per le altre due voci, si rivela ancora squilibrato alla voce spese per il personale (65,8% del bilancio) lasciando uno scarso 10% per l’addestramento e il 24% per gli investimenti.



Alla luce delle cifre stanziate e degli impegni internazionali del nostro esercito, non ultima la crisi libica, appare evidente come ci sia una certa incongruenza: basti pensare che per la crisi libica i costi hanno raggiunto la cifra di 8 milioni euro dei quali 5,5 milioni per le missioni navali d’appoggio. Se poi allarghiamo lo sguardo alle spese sostenute negli ultimi tre mesi vediamo come si siano raggiunti i 700 milioni euro per le missioni Odissea all’alba ed Unified Protector in Libia. A tali costi vanno aggiunti quelli per la missione in Libano in ambito Unifil pari a 22,3 milioni euro al mese: la nave Libeccio per esempio ha un costo giornaliero di 60.000 euro, la portaerei Garibaldi 130.000 euro, i velivoli Harrier 9.000 euro, i missili in dotazione ai nostri Tornado un costo di 300.000 euro cadauno.



Tali spese[33] determinano un costo complessivo[34] per il nostro paese per i primi 6 mesi del 2011 pari ad un miliardo e mezzo di euro, lo 0,2% del bilancio difesa che arriva a stento a coprire i dati degli stanziamenti previsti. Urge quindi una razionalizzazione dei costi e del relativo bilancio militare nonché un esercito più snello che assesti sulle 150.000-165.000 unità a fronte dei 179.600 attuali che costano 16,5 miliardi di euro rispetto ai 20 stanziati. Il ministro della difesa La Russa ha dichiarato come in occasione della manovra estiva ci saranno risparmi e tagli solo per le spese correnti e non per gli investimenti, per quanto riguarda il bilancio militare italiano. In tal modo dovrebbero essere salvi i progetti avviati per il caccia Lockeed Martin F35 e il lanciamissili Fremm anche se si ignorano a questo punto i tempi di consegna dei primi prototipi.



Il tema della difesa e sicurezza nazionale che in questa ricerca sono stati approcciati in termini economici e di spese per i singoli paesi europei richiedono la massima attenzione e sensibilità da parte delle opinioni pubbliche, consci del fatto che la difesa nazionale, parte della sovranità nazionale e la sicurezza, oltre a non essere mai a costo zero non possono essere mai al 100% perchè come diceva Henry Kissinger “la ricerca della massima sicurezza per il proprio paese comporta la massima insicurezza per i paesi vicini”.



Ma è proprio questa che viene messa in discussione, e tecnicamente, qualcuno sta dando il biberon al pupo tanto da farlo un po’ troppo grassottello…. e parlano di snellire…..



Come riportato nel Bilancio dello Stato, le spese per la Difesa dello Stato ammontano, per l’anno 2009, a 20.299.000.852€, così ripartiti:

Uffici di diretta dipendenza del Ministro: 25 M€,

spese di Bilancio ed Affari Finanziari: 998 M€,

Segretariato Generale della Difesa: 5.663 M€,

Esercito Italiano: 4.185 M€,

Marina Militare: 1.549 M€,

Aeronautica Militare: 2.342 M€,

Arma dei Carabinieri: 5.504 M€.[2]



Per l’anno 2010 invece la spesa è ammontata a 20.364.430.855,00 €, di cui 18.575.700.000 destinati alla difesa e sicurezza del territorio, 59.700.000.000 alla ricerca e all’innovazione, 77.300.000.000 ai servizi istituzionali e generali delle amministrazioni pubbliche e 1.651.700.000 da ripartire. La spesa totale rispetto all’anno 2009 è aumentata dello 0,3%





Compilato e scritto da Amonakur, nella seconda parte C. I.