Scrivere una sceneggiatura

 

Un film racconta una serie di azioni che delle persone compiono in determinate situazioni. Per iniziare a scrivere una sceneggiatura bisogna avere un’idea di cosa si vuol far fare a queste persone, ai personaggi, di quali situazioni gli si vuole far affrontare, di quali luoghi gli si vuol far visitare. Nonostante tutti gli sforzi che uno scrittore può fare, è praticamente impossibile trovare un’idea assolutamente originale, riecheggerà sempre qualcosa di già visto in un altro film, o letto in un libro, o sentito in una canzone... L’importante, comunque, è non copiare, ma prendere spunto. Si può partire dalla stessa idea, dallo stesso punto di partenza, di un altro autore, per poi prendere tutt’altra direzione ed arrivare in un luogo completamente diverso. In parole povere: pur avendo una storia simile, il film può (e deve) essere completamente diverso. La storia non deve mai sembrare quella di un qualcosa di già visto, anche se spesso l’incrocio tra diverse cose già viste può sembrare persino qualcosa di nuovo. La storia deve sembrare una variazione interessante di un tema conosciuto. Non è mai buona idea, comunque, descrivere ciò che si scrive come “un incrocio tra questo e quello, con un po’ di quest'altro”. Questo vale in ogni campo della scrittura creativa, ma è vero soprattutto nel cinema.

Esistono milioni di modi diversi per sviluppare la stessa idea, quindi bisogna avere ben presente fin dall’inizio deve si vuole arrivare quando si inizia a scrivere. Facciamo qualche esempio di idea per dei film:

- Un ragazzo ed una ragazza si amano, ma sono costretti a tenere segreta la loro relazione.
- Un criminale, dietro la promessa della libertà, viene incaricato di recuperare un uomo che può salvare il mondo dalla distruzione.
- Un uomo torna dal regno dei morti per vendicarsi dei propri assassini.
- Durante una missione scientifica un gruppo di studiosi entra in contatto con una razza aliena sconosciuta.
- Ad un esperto poliziotto di colore viene assegnato un nuovo compagno, bianco e più giovane. I due si trovano subito invischiati in un complicato caso di omicidio.

Suonano familiari? Dovrebbero, perché la prima idea è quella che sta alla base di “Romeo e Giulietta”, ma è molto semplice e può essere facilmente adattata (e lo è stata) alle situazioni più diverse. La seconda è la storia di “1997: Fuga da New York”, ma se specifichiamo che il prigioniero deve viaggiare nel tempo diventa quella de “L’Esercito delle 12 Scimmie”. La storia dell’uomo che resuscita è comune a “Il Corvo” ed al più recente “Spawn”, ma va detto che entrambi i film sono basati su dei fumetti. La terza è l’idea su cui si basa “La cosa da un altro mondo”, ma basta decidere di ambientarla nello spazio e diventa “Alien”. Infine possiamo ammirare la coppia di poliziotti bianco-nero sia in “Arma Letale” che in “Se7en”.

Come potete vedere, dunque, le idee ricorrono, si riciclano, vengono copiate, ma vengono anche e soprattutto modificate. Quindi ricordatevi sempre che per quanto buona sia l’idea di partenza quello che conta veramente è il modo in cui viene sviluppata. Certo che se si parte da una buona idea...

Quando si ha la possibilità di scrivere ciò che si vuole si finisce spesso per fissare il foglio bianco per ore. La cosa migliore da fare, la prima regola dello sceneggiatore, è scrivere di ciò che si conosce, il che non vuol dire scrivere la propria autobiografia, ma piuttosto narrare la storia di un personaggio con cui abbiamo qualcosa in comune e che si muove in un ambiente simile a quello che conosciamo. Il protagonista del nostro film, che lo vogliamo o no, avrà sempre qualcosa in comune con noi, perché siamo noi a dargli vita, a decidere cosa deve dire e fare, ma queste somiglianze non dovrebbero essere l’aspetto principale del personaggio, a meno che non abbiamo avuto una vita veramente molto curiosa ed interessante.

Ma come si fa a sapere quando si ha un’idea veramente buona? Beh, all’inizio tutte le idee sembreranno buone, e quest’impressione si farà sempre più forte man mano che il tempo passa e quel dannato foglio continua a fissarci in tutto il suo candore. Bisogna cercare di dar libero sfogo alla propria fantasia, bisogna osservare tutte le idee che ci nuotano nella testa fino a che non abbiamo veramente l’impressione di aver pescato quella giusta. Allora prendiamo questa “grande idea” e guardiamola meglio. Ponetevi questa domanda: “È sufficiente per essere l’idea base del mio film?”. Quanto più tempo ci avete messo per trovarla, tanto più il vostro “sì” sarà convinto. Bene, sappiate che un’idea sola non è mai sufficiente! Certo, ci sono un sacco di film “mono-ideistici” (e scusate il neologismo), ma nessuno di questi è veramente valido quando si pensa esclusivamente alla trama. L’idea  centrale di un film dev'essere eccitante, affascinante e deve apparire diversa da tutto quello che si è visto o sentito fino a quel momento, e la vostra sceneggiatura dovrà essere piena zeppa di buone idee, soprattutto se ci sono scene d’azione. Per quanto grandi possano essere le esplosioni che vi immaginate, il pubblico le ha già viste. Per quanto rossi possano essere i vostri fiumi di sangue, il pubblico ne ha visti di più spaventosi.

Fino a questo punto, ed in genere anche quando la storia sarà completa, l’idea si potrà riassumere con una sola frase, con una sola immagine: la locandina che viene appesa fuori dai cinema. Molto spesso la locandina è sufficiente ad evidenziare le differenze che un film ha rispetto agli altri film che partono dalla stessa idea. Nel manifesto di “Arma Letale” si vedono Mel Gibson e Danny Glover spalla a spalla con le pistole in mano, mentre in quello di “Se7en” erano riportati solamente i sette peccati capitali ed il titolo del film. Nel primo caso il film è incentrato su ciò che i protagonisti fanno, sul loro carattere e sul rapporto che si viene a creare tra di loro; nel secondo i due poliziotti agiscono in relazione a ciò che il “cattivo” fa, è lui che ha il controllo del film, anche se lo vediamo poco.

Cercate di visualizzare la locandina del vostro film. È interessante? È originale? È comprensibile? Se non vi sembra abbastanza interessante cercatene un’altra. Se assomiglia a quella di un altro film cercatene un’altra. Se non sapete come riassumere il film in una sola immagine cercatene un’altra. Di idea, non di locandina.


Scrivere il soggetto
 

Diamo per scontato che alla fine, dopo indicibili sofferenze, siate riusciti ad avere un’idea interessante e avete l’impressione di poterne veramente fare un intero film, perché avete anche delle altre idee su come sorprendere il pubblico ed evitare che si addormenti dalla noia. Prima di mettersi a scrivere la sceneggiatura vera e propria è meglio scrivere la scaletta del film, il soggetto. In pratica si tratta di decidere che tipo di persone volete che i vostri personaggi siano, quali sono le loro caratteristiche principali, dove volete che l’azione si svolga e cosa questi personaggi dovranno fare, quali problemi si troveranno ad affrontare.

Capita spesso di lavorare ad una sceneggiatura insieme ad altre persone. L’equazione per cui più teste pensano, più brillante sarà il risultato non è sempre vera, anzi è spesso vero il contrario: può capitare di trovarsi in disaccordo, di avere visioni opposte dello stesso problema, di interpretare in maniera diversa i personaggi. Questo succede soprattutto se non si ha molta familiarità con i propri compagni di lavoro, o se si è abituati a lavorare da soli, in piena libertà. Il pericolo maggiore, in questi casi, è quello di cercare di imporre sempre le proprie idee, perché a questo punto anche gli altri vorranno fare lo stesso ed il risultato finale sarà una sceneggiatura eterogenea e discontinua.

Come lo si può evitare? Beh, innanzitutto bisogna entrare nell’ordine di idee che questa volta si fa parte di una squadra e che bisogna giocare con gli altri, insieme agli altri. Bisogna mettersi in testa che anche gli altri possono avere buone idee, e che anche noi possiamo averne di cattive. Potrà capitare che più di una persona pensi di avere l’idea giusta per sviluppare una scena, potrà capitare che entrambe le idee siano valide, ma potrà anche capitare che nessuna di queste lo sia veramente.

Una cosa molo utile da fare quando si scrive in gruppo è porsi tutte le domande che una scena ci suggerisce, questo perché ognuno potrebbe avere dei dubbi diversi da quelli degli altri sull’effettiva efficacia di una scena. Portare all’attenzione degli altri questi dubbi aiuterà senz’altro a trovare la soluzione per i problemi che nascono mano a mano che si scrive. La regola fondamentale dello scrivere in gruppo ve l’ho già detta: bisogna essere un giocatore di squadra.

Anche se la cosa appare contestabile il modo migliore per dare un buon ritmo alla storia è dividere lo sviluppo dell’azione in tre parti, in tre capitoli:

- un’introduzione, in cui vengono presentati i personaggi principali, in cui si fa capire come e dove vivono e si inizia a presentare il problema che dovranno affrontare nel corso del film;
- una parte centrale dell’intreccio, in cui questo problema si sviluppa, sconvolgendo la vita dei personaggi. In pratica è il momento di sviluppare la vostra “grande idea”;
- un finale, in cui i personaggi risolvono (o forse no) la situazione in cui si erano venuti a trovare e si concludono anche le sottotrame, le idee secondarie che avevate inserito nel film.

Soprattutto siate ben sicuri di avere qualche idea interessante per ognuno di questi capitoli e di avere un deciso cambio di situazione approssimativamente a metà film. Come ho detto questa tecnica appare molto contestabile, ma deriva direttamente dal teatro dell'antica Grecia e se praticamente tutti i film sono scritti seguendo questo procedimento, una sua efficacia dovrà pur averla. Non fatevi troppi problemi, comunque: siamo talmente abituati a vedere e leggere storie strutturate in questo modo che finirete per scrivere il vostro soggetto rispettando questa regola, anche se potreste persino non rendervene conto.

Se state scrivendo una cosa in piena libertà, un “soggetto originale”, non fatevi problemi a dar libero sfogo alla vostra fantasia. Non chiedetevi se una scena è realizzabile, quando costerebbe o come bisognerebbe costruire il set in cui girarla, non sono problemi vostri. Chiedetevi piuttosto se la scena è plausibile, se è importante all’interno del film, e soprattutto se è interessante. Se avete l’impressione che serva solo per allungare il brodo, mettetela da parte e sperate di non averne bisogno. Non buttatela via, però, perché potreste averne bisogno: nello sviluppo della sceneggiatura, infatti, potreste decidere di cambiare un po’ la storia e finire per avere bisogno proprio di quel tipo di scena.

Quello che avete in mano a questo punto è più o meno la trama del film. È molto importante che la storia possa realmente interessare chi legge, e che possa anche interessare lo spettatore tipo, deve succedere qualcosa che valga la pena di narrare in un film. Ora immaginate di parlare con dei vostri amici di ciò che avete appena scritto. Sarebbero interessati? Vorrebbero saperne di più? Vorrebbero leggere la sceneggiatura? Siate onesti con voi stessi, mentire a questo punto sarebbe come mentire scrivendo sul vostro diario.

Se la vostra storia ha la possibilità di interessare qualcun altro al di fuori di voi e di vostra mamma potete iniziare seriamente a dar vita ai vostri personaggi. A questo punto del lavoro dovete occuparvi solo del vostro protagonista, ed eventualmente di un personaggio non protagonista che è comunque molto importante nell’economia del film, in genere il “cattivo” di turno.

Gli altri li “disegnerete” man mano che faranno la loro apparizione nella storia. Iniziate col fare una lista di tutto ciò che il pubblico ha bisogno di sapere sul vostro protagonista, sottolineate le cose che il pubblico deve sapere subito, ed infine fate una lista di quello che non volete dire al pubblico, ma che comunque condizionerà la psicologia, e quindi le azioni, del vostro protagonista. Fate in modo di avere bene in mente le sue abitudini, i posti dove gli piace andare, il suo modo di parlare, il tipo di persone che gli piace frequentare. Quando avete messo su carta tutte queste cose e siete sempre convinti di quello che volete far fare ai personaggi, siete pronti per iniziare a scrivere la sceneggiatura.

Questa è la prima parola in una sceneggiatura. Dallo schermo nero si passa, più o meno lentamente, all’immagine iniziale. Si “Dissolve in:”.

Esistono tre modi diversi per scrivere una sceneggiatura. Derivano dalle abitudini in uso in tre paesi tra i più “cinematograficamente sviluppati” del mondo.

Nella forma italiana il foglio viene diviso in due colonne: nella colonna di sinistra vengono date tutte le indicazioni relative alla parte visiva, le azioni dei personaggi e le descrizioni degli ambienti. In quella di destra ci sono quelle relative al sonoro, cioè i dialoghi, i rumori ed alle volte anche le musiche. Succede spesso, in Italia, che il regista collabori alla scrittura della sceneggiatura, quindi in questo caso si decide subito il modo in cui si dovrà girare e montare una scena, indicando il tipo di inquadratura da usare, numerando ogni scena e spesso anche ogni inquadratura.

138 - EST. RETRO DEL TEATRO - NOTTE

 

 

 

(C.M.) - Plissken esce in strada e da un’occhiata alla radiobussola, poi si guarda intorno e cammina verso la mdp, fino ad una rampa di scale che scende. Inizia a scendere. 

Musica proveniente dall’interno del teatro.

 

Si sente sbattere la porta del teatro.

(P.M.) - Plissken si volta di scatto a fucile spianato. 

 

(P.M.) - Cabbie fa un passo verso Plissken con le mani in alto. È tranquillo. 

 

 

CABBIE: Ehi... Sei Iena Plissken, è vero?

 

 

(P.M.) - Plissken lo fissa senza abbassare il fucile.

 

 

PLISSKEN: Che cosa vuoi? 
CABBIE (f.c.): Niente.

Plissken abbassa il fucile.

 

 

 

(C.M.) - Cabbie sorride.Si avvicina a Plissken, ma questi ricomincia a scendere le scale. 
Cabbie si avvicina alla rampa e lo guarda.

CABBIE: Io ti credevo morto.

 

CABBIE: Ehi... Non vorrai gironzolare là sotto, Iena.

La  forma americana è quella che, graficamente, si avvicina di più ad un romanzo. Si riempie il foglio dal margine sinistro a quello destro, e si cerca di dare al racconto una scorrevolezza letteraria. I dialoghi sono scritti al centro della pagina, leggermente rientranti su entrambi i lati rispetto al testo normale, in modo da permettere di capire, già ad un primo colpo d’occhio, se nella pagina sia raccontato un dialogo od una scena d’azione. Non ci sono indicazioni tecniche di alcun tipo, per non rendere troppo “pesante” la lettura a persone che non hanno una perfetta conoscenza della tecnica cinematografica.

EST. RETRO DEL TEATRO - NOTTE

La grande porta si apre e Plissken esce chiudendosela alle spalle.
Da un’occhiata alla radiobussola, poi osserva la strada e cammina fino a che non raggiunge una rampa di scale che scende.
Da un’occhiata giù, poi inizia a scendere.

D’improvviso la porta del teatro si apre!

Plissken si volta di scatto a fucile spianato.

Cabbie cammina verso di lui, con le mani alzate. Non sembra per niente spaventato.

CABBIE
Ehi... Sei Iena Plissken, è vero?

Plissken lo guarda, un po’ sorpreso.

PLISSKEN
Che cosa vuoi?

CABBIE
Niente.

Plissken abbassa il fucile.

CABBIE (continua)
Io ti credevo morto.

Plissken si volta e riprende a scendere le scale.

Cabbie si avvicina e lo guarda.

CABBIE
Ehi... Non vorrai gironzolare là sotto, Iena.

Nessuna risposta.

In Francia i registi tendono ad improvvisare notevolmente durante le riprese, come si nota chiaramente guardando il film “Effetto Notte” di François Truffaut, così le sceneggiature spesso riportano solo la traccia dei dialoghi, le frasi più importanti che i personaggi dicono ed il senso generale dei loro discorsi. Sarà proprio il regista a completare le battute durante le riprese, seguendo l’ispirazione del momento. Proprio per questo la lunghezza delle sceneggiature “francesi” può variare notevolmente, a differenza di quella americana e quella italiana, che per un film di durata normale in generale si aggirano intorno alle 90-100 pagine. Ovviamente di indicazioni tecniche neanche parlare...

138 - EST. RETRO DEL TEATRO - NOTTE

Plissken esce dal teatro seguendo la traccia della radiobussola. Percorre la strada fino a che non arriva ad una rampa di scale che scendono. D’improvviso un rumore lo fa voltare, a fucile spianato. È Cabbie, che avanza verso di lui, tranquillo, con le mani alzate. L’ha riconosciuto, è per questo che ha deciso di seguirlo.

CABBIE: Io ti credevo morto!

Plissken non gli presta attenzione e si mette a scendere le scale. L’idea non piace a Cabbie che, urlando, cerca di dissuaderlo dall’andare là sotto. Ancora una volta Plissken lo ignora.

Questi sono tre modi diversi di narrare la stessa scena: il primo incontro tra Iena Plissken (Kurt Russell) e Cabbie (Ernest Borgnine) in “1997: Fuga da New York”. La sceneggiatura originale, scritta nel 1980 da Nick Castle e John Carpenter, sembra una via di mezzo tra il metodo italiano e quello americano, perché l’azione è divisa in inquadrature e ci sono indicazioni relative al modo di montare le scene. Questo perché i due scrittori sapevano che Carpenter avrebbe poi diretto il film. Ma se fosse stata scritta in tempi più recenti, o da qualcun altro, sarebbe senz’altro più simile al secondo esempio, che è quello in voga nella Hollywood di oggi ed un po’ in tutto il mondo. Nel terzo esempio, infine, il modo di narrare dipende molto dal rapporto tra sceneggiatore e regista. Come detto non ci sono dialoghi, se non quel “Ti credevo morto” che sarà una frase ricorrente negli incontri tra Iena e gli abitanti di New York, e tutte le azioni vengono accennate piuttosto brevemente.

In pratica, dunque, la sceneggiatura non è altro che il romanzo del film, un racconto che narra ciò che si vedrà poi sullo schermo. Un racconto che, invece di essere diviso in capitoli, è diviso in scene. Ogni scena, come avete visto, inizia con un titolo, che ne definisce il tempo ed il luogo. Si specifica se l’azione si svolge all’aperto (Est. - Esterno) o all’interno di una qualche costruzione (Int. - Interno). In fase di sceneggiatura, soprattutto se non dovrete essere il regista del film, non è conveniente immaginare come girare la scena, anche per evitare di restare troppo delusi per la riuscita finale sullo schermo. Quindi se una scena si svolge in casa verrà sempre definita come “Int.”, anche se pensiamo sia una buona idea riprenderla da fuori la finestra. La stessa cosa vale per le scene ambientate in auto. Nel titolo si specifica anche il luogo preciso in cui una scena si svolge (camera da letto, strada, sottoscala...) ed il momento del giorno (mattina, giorno, sera, notte).

Nel descrivere la scena è preferibile iniziare dalla cosa più importante sullo schermo. Se un uomo delle pulizie sta mettendo a posto un ufficio converrà cominciare la scena con la descrizione delle sue azioni, per poi passare a descrivere l’ambiente, mano a mano che lui si muove, in modo da rendere più scorrevole ed interessante la descrizione dei luoghi. Tutti gli elementi importanti devono essere citati, ed è preferibile evitare di perdere tempo descrivendo particolari inutili. Se per il film non ha importanza che la tuta da lavoro dell’uomo delle pulizie sia blu invece che gialla, allora non ne ha neanche per la sceneggiatura; ma se nella scena seguente viene ritrovato il cadavere dell’uomo con indosso una tuta di colore diverso, allora bisogna descriverla, e bisogna farlo subito.

La sceneggiatura è scritta al tempo presente, come se le cose stessero avvenendo in questo momento. Imparate a fare una forza di questo fatto, perché scrivere al tempo presente può dare al lettore l’impressione di essere dentro la vicenda. Per ottenere questo risultato, però, bisogna scrivere in maniera valida, come se si trattasse veramente di un romanzo.
Coniugate effettivamente i verbi al presente, non al gerundio (evitate ‘sta camminando’, ‘sta entrando’ e roba del genere). Il presente è più immediato, più diretto. Cercate anche di evitare di scrivere frasi tipo ‘sta per...’ o ‘inizia a...’, perché danno l’impressione che l’azione del personaggio sia interrotta. Ovviamente fa eccezione il caso in cui l’azione venga effettivamente interrotta, come quando Iena Plissken inizia a scendere le scale ma sente un rumore alle sue spalle che lo fa voltare a fucile spianato.
Fate in modo che ciò che scrivete sia scorrevole, piacevole e che abbia un proprio ritmo associato al ritmo della scena: se ad esempio state scrivendo una scena d’azione fate in modo che la lettura sia veloce, non perdetevi in particolari inutili. Usate sempre frasi corte; date al lettore la possibilità di prendere mentalmente fiato e tenete presente che se usate troppo spesso la congiunzione ‘e’ la vostra prosa risulta probabilmente sgraziata e poco scorrevole.

Spesso vi può sembrare che una frase sia a posto, ma quando la leggete a voce alta vi faccia accapponare la pelle. Bene, tenete presente che il lettore ha sempre l’impressione che voi avete leggendo a voce alta, quindi se avete un dubbio rileggete ciò che avete scritto e vi renderete conto delle difficoltà che incontrerà chi legge.
Se state narrando un’azione lunga o complessa dividetela in tante frasi brevi. In questo caso è conveniente citare il soggetto solo nella prima frase ed usare solamente dei pronomi nelle successive.

Ricordatevi sempre che il vostro compito è quello di stupire il lettore, non di colpire lo spettatore, perché se il produttore che legge il vostro lavoro non è interessato da ciò che avete scritto non ne farà mai un film.
È importante che il lettore non abbia un cattivo impatto visivo guardando la pagina. Sarebbe preferibile che la lettura scorresse verso il basso della pagina, piuttosto che verso il lato destro. La cosa, però, è tutt’altro che facile.

Un modo per ottenere questo effetto è quello di andare a capo ogni volta che l’azione “passa” ad un diverso personaggio, o quando lo stesso personaggio compie azioni diverse (date un’altra occhiata alla scena di “Fuga da New York” scritta all’americana e ve ne accorgerete). Come ho detto questa tecnica è abbastanza difficile da utilizzare in maniera corretta, perché finisce per far aumentare vertiginosamente la lunghezza della sceneggiatura. Conviene allora utilizzarla solamente nelle scene d’azione, che meglio si prestano ad essere “spezzate”.

Spesso capita che il lettore annoiato tenda a saltare  le didascalie per passare direttamente al blocco del dialogo. Come si può evitare che accada? Beh, il modo migliore è quello di rendere veramente interessante ogni scena, in modo che il lettore non voglia saltare nulla per non correre il rischio di perdere delle azioni chiave, ma non sempre questo è possibile. Anche qui, allora, si può provare a barare e dare l’impressione che ci sia meno roba da leggere. Un modo per farlo è contenere ogni blocco di azione entro le quattro righe. Non quattro frasi, quattro righe. Se l’azione richiede più di quattro righe, spezzatela.

A meno che non abbiate intenzione di dare la sceneggiatura ad un attore famoso che possa aiutarvi a convincere un produttore a comprarvela, è sempre meglio non identificare i propri personaggi con gli attori che vorreste li interpretassero, ossia non esagerate con la precisione delle descrizioni fisiche. Questo perché il lettore potrebbe farsi un’idea diversa e non riuscire a capire la vostra scelta. Se, invece, avete proprio intenzione di dare il vostro lavoro a qualche attore, allora fate in modo che si senta al centro della storia, dategli l’impressione che avete avuto in mente sempre e solo lui per quella parte. Deve credere che il film non possa esistere senza di lui.

Quando si scrive un dialogo bisogna annotare il nome del personaggio che parla, eventualmente segnalando se questi si trova fuori dall’immagine (f.c.), se si tratta della voce del narratore (v.o.) o se la voce si sente attraverso il telefono o una radio (filtrata). Nel caso che il personaggio stia continuando un discorso iniziato in precedenza ed interrotto da qualcuno o qualcosa, lo si fa notare (continua). In genere un personaggio compie qualche azione mentre parla, soprattutto se sta facendo un discorso lungo. Si indica quest’azione interrompendo il dialogo e descrivendola, per poi riprendere il dialogo.

Una sceneggiatura cinematografica non è un copione teatrale, in cui la scena viene sempre descritta all’inizio e non ci sono indicazioni sulle azioni dei personaggi, se non le più importanti. In una sceneggiatura bisogna indicare tutto quello che i personaggi fanno, fosse anche solo grattarsi la testa. Le didascalie con le azioni, poi, vengono narrate nella successione temporale in cui avvengono, non vengono scritti all’inizio della scena e basta. In una sceneggiatura i dialoghi si alternano con le didascalie, mano a mano che i personaggi parlano e si muovono. Il difficile, però, è descrivere le azioni dei personaggi in modo da non sembrare opprimenti nei confronti degli attori che dovranno poi interpretare il film, perché anche loro leggeranno il vostro scritto.

Qualche pagina fa si parlava dei tre capitoli in cui è divisa, di solito, una sceneggiatura. Ma quanto devono essere lunghe queste tre parti? Quanto dev’essere lunga tutta la sceneggiatura? Beh, in genere un pagina equivale ad un minuto di film. Questa equazione non è sempre vera, perché, come abbiamo visto, lo stile di scrittura dipende molto dallo sceneggiatore, e da che tipo di azioni sta raccontando. Comunque diciamo per comodità che una pagina corrisponde ad un minuto di film. Allora, un film dura mediamente 90-120 minuti. È molto pericoloso pensare ad un film la cui durata vada oltre le due ore. Questo perché per andare in attivo un film deve incassare il doppio di quello che è costato. Un film di tre ore obbligherà i gestori dei cinema a fare uno spettacolo in meno ogni giorno.

Quindi il pubblico giornaliero sarà comunque inferiore a quello che avrebbe avuto lo stesso film se fosse durato un’ora di meno. Il vostro film dovrà avere una longevità fuori dal comune (cioè dovrà rimanere nelle sale cinematografiche molto più tempo del normale) per incassare quanto un altro film più corto, e ricordate che non tutti i film sono “Titanic”. In genere le sceneggiature tendono ad avvicinarsi di più alle 120 pagine che alle 90. Questo perché teoricamente un film di due ore da più tempo per sviluppare meglio la storia ed i personaggi rispetto ad uno di un’ora e mezza. Evitate di allungare a 120 una sceneggiatura di 90 pagine. Scrivete la sceneggiatura e lasciatela della lunghezza che vi è venuta, al massimo tagliando delle scene per ridurne la lunghezza. Non cercate di portarla artificialmente a 120 pagine, perché il 90% di quello che aggiungerete sarà solamente inutile, se non dannoso.

Comunque, tornando alla sceneggiatura, dove mettiamo gli inizi dei capitoli? Le possibilità sono due. La prima consiste nello scrivere tre capitoli di lunghezza uguale, il che vuol dire, ipotizzando di avere una sceneggiatura di 90 pagine, “cambiare il passo” a pagina 30 e a pagina 60. Un’altra possibilità è quella di dedicare meno tempo all’introduzione ed al finale per avere un secondo capitolo, una parte centrale della storia, più estesa. Questo vuol dire 25 pagine per la prima e terza parte e 40 per la seconda.

Se avete uno sviluppo della trama veramente eccitante potete permettervi di dedicarci più tempo, ma dato che capita molto spesso che la parte centrale di un film risulti essere la più noiosa e sembra sempre che non ci siano abbastanza idee per riempire le pagine, conviene mantenere i tre capitoli della stessa lunghezza. Questo da alla storia un ritmo sostenuto, perché ogni 30 pagine succede qualcosa, e soprattutto la parte centrale risulta particolarmente avvincente perché, con il “colpo di scena” di metà film, succede qualcosa di interessante ogni 15 pagine.

È molto importante il modo in cui presentate il vostro protagonista la prima volta. Spesso capita di avere a disposizione una scena introduttiva per il protagonista, prima che il personaggio si ritrovi effettivamente dentro l’azione. Questa scena dev’essere una specie di carta d’identità, una fotografia istantanea del protagonista, qualcosa che resti impresso nella mente dello spettatore lungo tutto il film. A questo punto è molto importante la lista che si è fatta all’inizio, quella riguardante ciò che il pubblico deve conoscere del personaggio. In particolare ciò che deve sapere subito.

Quello che bisogna riuscire a fare è creare una scena che illustri tutti gli elementi che fanno parte di questa lista. Certo, non è facilissimo, ma se volete che la vostra sceneggiatura abbia un buon ritmo dovete fare in modo di non essere obbligati a perdere tempo ogni volta che succede qualcosa per rivelare al pubblico un lato del carattere e della vita del vostro protagonista.

Prendiamo ad esempio la prima scena de “I Predatori dell’Arca Perduta”: mentre una sovrimpressione ci avvisa che ci troviamo in Sud America nell’anno 1936 vediamo Indiana Jones attraversare velocemente la giungla. Le guide che l’accompagnano scappano una ad una, impaurite. Quando Indy raggiunge il Tempio, in compagnia di una sola persona, scopriamo perché tutti gli altri sono scappati (“Nessuno è mai uscito vivo da lì”). Appena entrati i due vengono assaliti da un gran numero di ragni e trovano lo scheletro di colui che li ha preceduti nell’esplorazione del Tempio. Dopo aver saltato una botola senza troppi problemi ed aver evitato trappole a pressione sul pavimento Indy è finalmente davanti ad un idolo d’oro, che era ciò che stava cercando. Prende un sacchetto pieno di sabbia e lo svuota un poco per renderlo pesante, ad occhio e croce, quanto la statuetta. Con una mossa velocissima sostituisce l’idolo con il sacchetto.

Soddisfatto si appresta ad uscire quando inizia a crollargli tutto addosso. Indy cerca di scappare, ma per saltare la botola getta l’idolo alla guida, che scappa lasciandolo lì. Lui salta la botola e si infila sotto un muro che si sta chiudendo, evitando di finire schiacciato dal crollo. Nel rotolare sotto il muro, però, ha perso la frusta, e rischia un braccio per recuperarla, proprio quando il muro si chiude. Ripresa la via dell’uscita trova il cadavere della guida e recupera l’idolo, ma deve riprendere subito a scappare, inseguito da un masso gigantesco. Una volta fuori Indy riceve il benvenuto di un gruppo di indigeni che lo tiene sotto tiro con delle cerbottane.

Un francese con il quale si è scontrato diverse volte (“Peccato che non la conoscano bene come la conosco io, Belloq”) gli toglie l’idolo. Ancora una volta il coraggioso Indiana Jones è costretto a scappare. Gli indigeni lo inseguono, ma lui riesce ad arrivare ad un fiume dove lo attende un suo amico su di un aereo. I due riescono a decollare in tempo per evitare le lance degli indigeni, ma Indy è spaventato per qualcos’altro: c’è un serpente enorme sotto il suo sedile!

Questa scena dura 12 minuti, ma alla fine, quando riusciremo finalmente a tirare il fiato, ci troveremo già proiettati nell’atmosfera del film e avremo scoperto diverse cose della vita e del carattere di Indiana Jones:

- Siamo nella foresta amazzonica negli anni che hanno preceduto l’inizio della Seconda Guerra Mondiale.
- Indy è un avventuriero che gira il mondo alla ricerca di tesori perduti, anche se non sappiamo ancora perché.
- È una persona intelligente (si rende conto che il sacchetto di sabbia è troppo pesante rispetto all’idolo e lo svuota) e pronta di spirito (sa come sfuggire a situazioni critiche).
- È ben allenato, perché riesce a saltare la botola e a sfuggire al masso ed agli indigeni.
- Tiene molto alla sua frusta.
- Ha un nemico di lunga data.
- Ha un sacco di amici pronti ad aiutarlo in caso di bisogno.
- Ha una paura folle dei serpenti.

Nel prosieguo del film tutte queste caratteristiche verranno ripresentate in situazioni diverse, ma il pubblico le darà per scontate perché ne è già venuto a conoscenza fin dall’inizio. Sarà più facile, quindi, concentrarsi sull’azione vera e propria.

Un modo per introdurre il vostro protagonista è quello di avere degli altri personaggi che parlano di lui, prima ancora che il pubblico l’abbia mai visto. Il problema, però, è che in questo caso si finisce per avere una scena di dialogo abbastanza lunga, e non bisogna dimenticare che il film è fatto soprattutto di immagini, di azioni. È sempre meglio mostrare che dire, ed il modo migliore è mostrare il protagonista nell’esercizio “delle sue funzioni”. Tra l’altro cercate di evitare di usare sovrimpressioni, mostrate un cartello stradale od un monumento caratteristico del luogo piuttosto che scrivere dove ci troviamo.

Far vedere il Duomo è sufficiente a far capire al pubblico che siamo a Milano. Certo, potete sempre far vedere la Torre Eiffel e poi scrivere “Tokyo”, dato che a Tokyo ce n’è una copia a grandezza naturale. Non esagerate nell’uso della voce narrante, perché spesso un commento intelligente non è accompagnato da immagini altrettanto interessanti. Non ha importanza che lavoro faccia il protagonista, chi sia esattamente, dove viva e con chi abbia a che fare; dovete fare in modo che gli spettatori riescano a familiarizzare con lui il più presto possibile, in modo che non siano tentati di esplorare troppo la sua psicologia durante il film, quando la loro attenzione dovrebbe essere rivolta ad altre cose.

Ci può essere, però, il caso in cui il pubblico debba “scoprire” il protagonista poco alla volta. Questo succede soprattutto quando si narra la storia di un nuovo arrivato, di qualcuno che spunta fuori dal nulla e provoca interesse nella comunità in cui cerca di inserirsi, quello che in America si chiama “new kid in town”. Se vogliamo dare agli spettatori la stessa idea che hanno i personaggi che entrano in contatto per la prima volta con il nostro protagonista allora dovremo rivelare il meno possibile di lui, solo lo stretto indispensabile. In questo caso la cosa risulterà abbastanza problematica, perché ad ogni nuova rivelazione il pubblico ricontrollerà mentalmente tutto quello che già sa su di lui e salteranno fuori tutte le incongruenze con le cose che il personaggio ha fatto e detto fino a quel momento.

Oltre al protagonista ci possono essere anche altri personaggi importanti nel film, i cosiddetti co-protagonisti. Non considerateli mai secondari, anche se lo sono. Dovete disegnarli con la stessa cura con cui create il vostro protagonista. Dovete renderli interessanti agli occhi del pubblico quanto il protagonista. Avendo meno tempo a disposizione risulta più difficile esplorare tutti gli aspetti del loro carattere e della loro vita, ma è proprio la cura di questi particolari nei co-protagonisti che separa un buon film da uno solamente mediocre. Avete mai notato, per esempio, che nei film animati di Walt Disney i co-protagonisti sono sempre quelli più simpatici, quelli che restano maggiormente nella mente dello spettatore (oltre che quelli che cantano le canzoni migliori)?

Tenete presente, poi, che personaggi diversi avranno un modo diverso di vedere le cose ed affrontare i problemi. Dal modo in cui si comportano e parlano deve venir fuori il loro carattere, le loro abitudini, proprio come nella vita reale. Se avete un gruppo di protagonisti abbastanza numeroso potete rendere le loro scene più interessanti facendo in modo che abbiano un modo diverso di comportarsi nella stessa situazione, un modo diverso di commentare la situazione. Ad esempio un personaggio potrebbe vedere sempre il lato negativo delle cose, oppure potrebbe criticare sempre ciò che fanno gli altri... Anche se poi il resto della caratterizzazione sarà abbastanza piatta, basteranno queste sfumature per rendere ogni personaggio diverso dagli altri.

Tenete sempre presente che ciò che rende interessante una scena è il conflitto che i personaggi si trovano ad affrontare. Questo non vuol dire che ad ogni scena ci dev’essere una rissa, ma ci dev’essere un dilemma, una decisione importante che i personaggi devono prendere. Si può trattare di decidere se rivelare qualcosa a qualcuno oppure tacere, se affrontare un personaggio con le buone o con le cattive, se aprire quella porta o scappare a gambe levate...

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pesso in queste situazioni la cosa migliore da far fare ai propri personaggi è quella meno prevedibile, quella più sorprendente. In effetti se create un personaggio interessante e poi gli fate fare delle cose scontate ed ovvie lungo tutto il film finirete per rovinarlo, per cancellare la buona impressione che potreste aver fatto nei confronti del pubblico. In qualunque situazione i personaggi si trovino, c’è sempre una reazione che il pubblico si aspetterà da loro. Evitatela. Fate in modo che facciano qualcos’altro, scavate nella vostra testa per trovare qualcosa di interessante, di inaspettato ma credibile, di verosimile. In qualunque situazione i personaggi si trovino, avranno sempre la possibilità di fare qualcosa di completamente inaspettato. Una reazione inaspettata può trasformare una scena discreta, normale, in una scena memorabile. Ad esempio: abbiamo visto i protagonisti di “Full Monty” discutere del fatto di non avere lavoro per più di un’ora, vederli in fila all’ufficio collocamento non è particolarmente eccitante, soprattutto perché sono arrabbiati gli uni con gli altri e non si parlano.

Senonché nella sala si diffondono le note della canzone di Donna Summer “Hot Stuff” e loro, tranquillamente, si mettono a ballare, incuranti degli sguardi degli altri disoccupati. Questo comportamento inaspettato, strano ma verosimile per quei personaggi, rende la scena spassosissima e assolutamente indimenticabile. Questo succede perché sono i personaggi, il loro comportamento, a guidare lo sviluppo della scena, e come già detto il film è costruito soprattutto dalle azioni dei personaggi. Allora cosa si può fare? Beh, una volta che date vita al vostro protagonista, cercate di farvi guidare da lui nello sviluppo della storia.
 

I dialoghi
 

In genere i dialoghi sono la cosa che, escluse un paio di scene qua e là, resta più impressa nelle menti degli spettatori. La cosa più importante, a prescindere dal tipo di film che state scrivendo, è che i dialoghi siano realistici. Ma anche ponendo che lo siano, questo non vuol dire che siano buoni. Anzi, spesso si finisce per scrivere scambi di battute incredibilmente ovvi e dialoghi quantomeno zoppicanti. Vediamo quali sono gli errori più comuni che si fanno in questa fase e come si può cercare di correggerli.

- Il problema maggiore, e la cosa peggiore da fare, è il rischio di essere ridondanti. Cioè di far dire ad un personaggio qualcosa che si è già espresso con le immagini. Anche se in quella situazione una persona reale farebbe esattamente quel commento, in un film la cosa può non funzionare. Sarebbe semplicemente noioso vedere dei personaggi spiegare per filo e per segno una cosa che ci è già stata mostrata in maniera chiara con delle immagini. Bisogna cercare di dare allo spettatore solo la parte interessante della storia.

- Nella vita reale capita che le persone, parlando, girino intorno ad un argomento prima di affrontarlo. Raramente si dice quello che si pensa veramente, si tende piuttosto a tastare il terreno, a danzare intorno all’argomento, in modo da non fare una sparata fuori luogo. In genere, più una cosa ci interessa più difficilmente ci butteremo a testa bassa sull’argomento. Dovrebbe capitare anche nei film.

- In situazioni particolari si tende a nascondere i nostri veri sentimenti dicendo esattamente l’opposto di quello che pensiamo. Se tremiamo di paura, tenderemo generalmente a dire che non siamo assolutamente spaventati. Tenderemo a nascondere la verità agli altri, e a noi stessi. In un film i personaggi tendono troppo spesso a non rispecchiare questo aspetto.

- Spesso, guardando un film, ci capita di sentire una frase che suona molto simile ad una che abbiamo già sentito in un altro film. Se, andando al cinema, vi dovesse capitare di sentire una frase simile ad una che avete scritto in una vostra sceneggiatura... cancellatela subito!

- Il modo migliore di rendere un dialogo interessante è quello di renderlo più colorito. Non nel senso di riempirlo di parolacce, ma di usare degli esempi, dei paragoni. Questo renderà i vostri dialoghi più frizzanti, più personali.

- È molto importante curare al massimo ogni singola battuta di dialogo, ogni singola parola. La cosa migliore da fare per rendere più interessanti i vostri dialoghi è quella di rileggerli tutti con attenzione e trovare il modo migliore per dire le stesse cose, il modo più intelligente, più brillante, più arguto, più spiritoso.

- Ogni persona parla in un modo assolutamente personale. Ognuno ha il proprio vocabolario, le proprie espressioni preferite, il proprio intercalare. Fate in modo che questa varietà si possa ritrovare anche nei dialoghi che scrivete. Facendo finta di non conoscere a memoria la sceneggiatura, potreste coprire i nomi dei personaggi e capire chi sta parlando solamente dal modo in cui si esprime?

- Se volete avere un dialogo molto ritmato, parlato abbastanza in fretta, non potete scrivere delle battute troppo lunghe. Più le battute sono lunghe più il ritmo della scena sarà lento. Tenete ben presente il numero di parole che usate in ogni battuta, perché ha un’importanza enorme, anche se non esiste un vero e proprio “limite massimo”. Se volete dare al dialogo un ritmo molto sostenuto dovete scrivere dei “botta e risposta”. Spesso conviene anche riprendere, nella risposta, parte della botta: “È un buon poliziotto” - “Adesso è un poliziotto morto”.

- Un altro modo per controllare il ritmo delle scene di dialogo è quello di far fare qualcosa ai personaggi, mentre parlano. Nella sceneggiatura si darà un accenno all’azione che un personaggio sta compiendo quando si vuole “far prendere fiato” allo spettatore, quando ci vuole un momento di silenzio. I momenti di silenzio sono importanti quanto quelli di conversazione.

- Date allo spettatore il tempo di capire cos’ha visto, o sentito. Non mettete mai, ad esempio, due battute divertenti una dietro l’altra, perché se il pubblico ride per la prima potrebbe non riuscire a sentire la seconda. Se poi volete dare maggior peso ad una frase fatela seguire da un istante di silenzio, nel quale, ad esempio, l’interlocutore guarda il personaggio con aria sorpresa. Questo darà allo spettatore il tempo per riflettere e la frase gli entrerà bene in testa.

- Dialogo è sinonimo di conversazione, ma quante volte, in un film, capita di vedere un personaggio che inizia a parlare e per fargli chiudere la bocca bisogna piazzargli una pallottola in fronte? Troppe, decisamente troppe. Nella vita reale le persone fanno conversazione, non fanno discorsi, non tengono conferenze. E le conversazioni sono fatte di scambi di brevi battute. Ricordatevelo. Avete appena scritto la parola “Fine”. Pensate di avere veramente finito? Proprio per niente. Quella che avete appena completato non è altro che la prima versione della sceneggiatura, e la prima versione non è mai vicina a quello che lo sceneggiatore ritiene un prodotto soddisfacente, o dovrebbe ritenere un prodotto soddisfacente. Allora cosa bisogna fare per migliorare una sceneggiatura già scritta? Innanzitutto bisogna rileggerla con attenzione e cercare di capire quali sono i punti che non funzionano.

Alle volte può capitare di rendersi conto che tutto lo sviluppo della storia è una cosa terribile, oppure che quell’idea che ci sembrava brillante è in realtà veramente stupida. Ma in genere si riconoscono in un paio di scene (diciamo un po’ più di un paio) i problemi che rendono debole la sceneggiatura. Una volta rintracciata una delle scene “incriminate” ci si deve chiedere se la scena ha un senso, se serve allo sviluppo della trama, alla comprensione dei personaggi.

Se le risposte sono dei “no”, o se abbiamo dei dubbi, allora sarebbe meglio tagliare semplicemente la scena, cancellarla e buttarla nel cestino. È il modo migliore per evitare che qualcuno possa dire che quella scena è brutta, perché nessuno avrà mai la possibilità di leggerla. Il modo migliore per migliorare una cattiva scena è migliorare il modo in cui i personaggi agiscono e parlano. Se una scena è noiosa la cosa migliore è fare in modo che i personaggi si comportino in modo del tutto inaspettato, ma non irrealistico. Dobbiamo cercare di sorprendere lo spettatore.

Se non riusciamo a trovare niente di inaspettato ma verosimile da far fare ai personaggi, allora bisogna sezionare la scena e riscriverla pezzo per pezzo. In questo caso il lavoro di ricerca è molto importante. Se scriviamo di qualcosa che non conosciamo non dobbiamo stupirci se finiamo per creare una scena noiosa. Più cose sappiamo sull’argomento, più facile sarà scrivere qualcosa di buono, qualcosa di nuovo. Alle volte, poi, basta caratterizzare un po’ di più la scena all’interno dell’ambiente in cui si svolge, far fare ai personaggi qualcosa che in un diverso ambiente non potrebbe fare, o qualcosa che non potrebbero fare proprio perché si trovano in quell’ambiente. Si può fare in modo che usino oggetti particolari che si trovano solo in quel luogo. Questa è una cosa che gli scrittori di film d’azione tengono bene a mente. Ogni volta che c’è una scazzottata od una sparatoria vediamo sempre un sacco di cose venir distrutte, questo per dare una parvenza di originalità alla scena, per distinguerla dalle altre che ci sono nel film. Se si usasse questo procedimento anche in scene “normali” il film ne gioverebbe sicuramente.

Un buon modo per evitare di riempire il proprio film di cattive idee e scene noiose è quello di non esagerare con la lunghezza. Bisogna sempre tenere d’occhio il numero delle pagine, perché se il film è molto lungo non è necessariamente anche molto bello. Spesso, anzi, una lunghezza eccessiva nasconde solamente una povertà di idee ed una difficoltà di espressione: non abbiamo molto da dire, allora infarciamo il tutto con qualche scena inutile, allunghiamo il brodo. È chiaro che non si può neanche scrivere una storia di un’ora scarsa e pretendere di farci un film “normale”, ma in questo caso conviene cercare idee valide per le scene da aggiungere. Veramente valide.

Quindi per riuscire a scrivere una buona sceneggiatura non basta avere una buona creatività, o aver avuto una buona idea. Alle volte non basta neanche aver avuto due buone idee. Bisogna ricercare, scrivere, scrivere, scrivere, ricercare e scrivere. Anche se si è dotati di talento naturale per la scrittura non ci si può certo aspettare di scrivere un capolavoro al primo tentativo, e soprattutto di finire il lavoro in due giorni. Scrivere un film è un lavoro impegnativo e lungo quanto, e forse più, che scrivere un romanzo. Questo perché bisogna imparare a pensare per immagini, a visualizzare nella propria mente quella che dovrebbe essere la resa finale della scena sullo schermo. E il modo migliore per riuscirci, l’unico modo, a dir la verità, è quello di scrivere molto, di continuare a scrivere a getto continuo. Prima o poi riusciremo a sviluppare alla grande quella “grande idea”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Compiled by Jedi Simon Foundation

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